Venerdì 4 maggio sono andato a sentire Ivo Pogorelich, ospite della filarmonica di Strasburgo. In programma, il secondo concerto di Rachmaninov. Conoscendo il pezzo, e conoscendo il pianista (almeno pensando di conoscerli) sono rimasto completamente allibito quando ho visto entrare in sala un signore di mezza età, completamente calvo, ingrassato, che camminava lentamente, molliccio e sinuoso, raggiungendo apaticamente il pianoforte seguito da un voltapagine con lo spartito in mano. Io mi ricordavo un giovane attempato, dal capello fonato, che con fare virile e donnaiolo e un suono magico rapiva la platea fin dal primo secondo.
Siccome ero abbastanza lontano per riconoscerne gli occhi azzurri, dentro di me ho pensato "cacchio, anche stavolta la celebrità ha dato forfait all'ultimo minuto, e l'hanno rimpiazzato con questo tizio che si è letto il pezzo due ore fa", come era successo alla Mullova qualche mese prima. Ma questo pensiero mi ha sfiorato solo per un attimo. Mi sono accorto subito che era proprio lui, quando ha iniziato i famosi accordi "a pendolo" e, interrompendo il crescendo dopo pochi secondi, diminuiva il suono e lo rallentava fino a renderlo quasi impercettibile, e irriconoscibile, riuscendo nonostante tutto a introdurre degnamente l'orchestra e la grande melodia degli archi.
Nessuno, dico nessuno, neanche l'ultimo sfalzino alle prime armi dopo una lettura sommaria dei primi due righi, avrebbe incominciato il secondo concerto di Rachmaninov in quella maniera. Nessuno avrebbe saltato impunemente tutte le notine delle parti centrali e delle volatine, suonando di fatto solo gli accordi e le ottave, e le "note sicure", coprendosi col pedale e con i fortissimi dell'orchestra. Nessuno avrebbe mai osato sgarrare anche di un solo centesimo il metronomo di quel pezzo, tra l'altro leggendo.
Allora l'ho riconosciuto, era lui, era Ivo in persona. Solo uno che è un grande può permettersi di fare tutte queste cose contemporaneamente. Era come se avesse la testa altrove, se pensasse ad altro, e riusciva a mantenere il metronomo solo quando l'orchestra lo accompagnava. Quando era solo, fraseggiava come mai ho sentito nessuno fare, dilatando e comprimendo il tempo ad libitum, raggiungendo il pianissimo dal fortissimo in millesimi di secondo, sbattendo note dolci e smielando toni aspri, esagerando controcanti della tessitura intermedia coprendo la melodia, strenuando le chiuse delle frasi facendo letteralmente impazzire il direttore, il consapevole, paziente ed eccezionale Kirill Karabits. E' difficile descrivere a parole quello che ho sentito. La stessa sensazione l'avranno vissuta i primi ascoltatori degli ultimi quartetti di Beethoven. Roba da saltare sulla sedia. C'era tutto il giovane Pogorelich "cura il suono, ed esci dalle righe", ma portato all'estremo, all'inverosimile, in un'altra dimensione. Solo dopo, leggendo la sua biografia, ho saputo della terribile tragedia umana, dell'inquietante shock che l'ha colpito, ormai più di dieci anni fa. Solo ora sta uscendo dal silenzio e dalla depressione, tornando progressivamente e faticosamente sulle scene. Allora ho pensato: come ci si può ridurre.
Ha suonato con l'ingenuità di un bambino. E cantava la musica del grande Russo dal profondo del suo cuore. Ed è stato il più commovente, secondo concerto di Rachmaninov che sia mai stato eseguito, perchè sofferto, abbandonato ed eroico. Lunghissimi applausi, ma niente bis. Spero solo che ritorni al più presto a deliziare le sale da concerto di tutto il mondo.
Intervista del 2006
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