martedì 29 aprile 2008

Chi è Alemanno parte 2 (ma anche Storace, Gasparri, Poli Bortone, Matteoli, Nania...) e cosa faceva a Bossi

FISCHI MISSINI PER BOSSI A CATANIA

CATANIA Una pioggia di volantini plana sul senatore Umberto Bossi mentre si infila nell' auto in via Etnea, il salotto di Catania. Sulla macchina rimbalzano monetine da cento lire, un gruppo di giovanotti in maglietta bianca urla Lega di merda, Bossi va' a Bergamo. Sono le sette di sera, e sotto il pacco di ciclostilati firmati dal Fronte della gioventù finisce la prima incursione politica del leader della Lega nord al di là dello Stretto. E' un' incursione politicamente segnata, a Siracusa, soprattutto dalla denuncia di un partito trasversale che non vuole le riforme istituzionali, chiede una legge elettorale di sbarramento e lavora perchè il presidente della Repubblica si dimetta. Un complotto, assicura Bossi, che fa capo ad Andreotti, e di cui fanno parte De Mita, La Malfa e il Pds: La prova ha sostenuto il leader della Lega l' abbiamo avuta quando siamo stati ricevuti prima di Natale dallo stesso Andreotti il quale ha affermato che prima bisognava eleggere il presidente della Repubblica e poi sciogliere le Camere. Ma le Camere ha rilevato bossi decadono un mese prima della fine del settennato di Cossiga, e quindi questa affermazione si può interpretare come un tentativo destabilizzante nei confronti del presidente della Repubblica. A Catania, invece, l' incontro pubblico in una saletta dell' Hotel Palace è abortito dopo le prime parole del segretario regionale della Lega Sud (l' organizzazione che fa capo alla Lega del senatur), Francesco Vidolo, geometra e commerciante, numero 1 a Catania e Siracusa. Il povero Vidolo ha appena terminato di esaltare l' incontro tra il Nord e il Sud che dalla quinta fila della saletta a malapena occupata si alza una vocina femminile: Fuori Bossi dalla Sicilia. E' l' inizio della bagarre: quella trentina di ragazzotti e signorine ben vestite che sembravano simpatizzanti leghisti si rivelano dei militanti del Fronte. Sono arrivati, molti da Roma, capitanati dal segretario dell' organizzazione giovanile missina Gianni Alemanno, che è lì in prima fila che si sbraccia come un ossesso. Per un' ora, sorvegliati senza molta convinzione da quattro poliziotti, imperversano vocalmente nella sala. Risultato: Bossi decide di non aprir bocca, mentre quelli del Fronte della gioventù impazzano con cori di tutti i tipi. Ce n' è di tutti i tipi, dal classico ma inconsueto sulla loro bocca: Razzista, razzista, all' autonomista viva l' indipendenza della Sicilia, al minaccioso Bossi razzista sei il primo della lista, al non ti vogliamo, Bossi non ti vogliamo, cantato a squarciagola sull' aria di Guantanamera, per terminare con il categorico te ne vai sì o no. Il tutto condito con un paio di striscioni del Fronte, con pacchi di volantini sparsi per la sala e da scene di sincero sgomento dei dirigenti della Lega che vedevano compromesso il loro grande momento. Cesare Crosta, ex magistrato della Corte dei conti, coordinatore della Lega centro-sud, grande amico di Bossi, ha quasi le lacrime agli occhi: Sono sempre loro, gli stessi che non ci lasciano parlare a Roma. Poi dallo sconforto Crosta passa alla rabbia, urla ai poliziotti di fare intervenire il questore, si butta a strappare lo striscione dalle mani di un' urlante ragazzina che potrebbe essere sua nipote. Alessandro Patelli, altissimo, gran capo della segreteria organizzativa di Bossi, cerca di calmare gli animi, ma inutilmente. Il coro continua sino a che Bossi si alza, e seguito dai suoi se ne va. La trentina di leghisti affranti rincorre il senatur che invece non è per niente preoccupato: Mi sembra di tornare indietro di otto anni, di ringiovanire. Anche allora, in Lombardia, non ci volevano lasciar parlare, e poi si è visto. I partiti si muovono quando sentono puzza di bruciato e quando pensano di perdere i voti. -
dal nostro inviato GUIDO PASSALACQUA

Fonte: la Repubblica, 14 giugno 1991, pagina 14

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ROMA - Da 1 a 5 anni di carcere. Un rischio pesante per gli undici parlamentari missini e i trenta attivisti del "Fronte della Gioventù" protagonisti dell' "assalto" a Montecitorio di giovedì pomeriggio: una gazzarra di urla, spintoni, monetine e slogan tipo: "Ladri, mafiosi, figli di puttana. Ma che democrazia, ma che cristiana". Una manifestazione "spontanea" ma organizzata nei dettagli da una regia abile ed efficiente. Una sessantina di ragazzi che indossavano magliette bianche con una gran scritta a campo rosso: "Arrendetevi, siete circondati" e, sotto, in nero: "Elezioni subito" sono arrivati di fronte all' ingresso del Parlamento alla spicciolata, poco dopo le 15,30. Davanti a un esiguo e impreparato cordone di carabinieri, i giovani missini si sono presi per mano bloccando l' accesso del palazzo. Alcuni deputati verdi o del Pds che si sono precipitati fuori sono stati accolti da un coro di insulti e i battibecchi con i "colleghi" della fiamma tricolore stavano per trasformarsi in incontri di pugilato da strada. Solo l' intervento di alcuni agenti di polizia ha impedito uno scontro fisico di conseguenze imprevedibili. Poche ore dopo, in aula, la reazione indignata di tutte le forze politiche, Lega compresa e del ministro dell' Interno, Mancino: "Tutto è avvenuto per portare discredito al sistema, per vilipendere le istituzioni, per offendere il Parlamento". Per gli agenti della Digos, identificare gran parte dei dimostranti non è stato certo difficile: sono bastati i filmati delle televisioni pubbliche e private che hanno riproposto per tutto il giorno le sequenze della "bagarre" e le foto pubblicate sui giornali. Alcuni giorni per esaminare le posizioni di tutti i sospettati poi sono scattate le perquisizioni. All' inizio, la polizia aveva ipotizzato reati come apologia di fascismo (i saluti romani con cui i dimostranti si sono allontanati) e resistenza a pubblico ufficiale ma la Procura, almeno per ora, non ha accolto queste richieste. In testa al manipolo di parlamentari indagati, Teodoro Buontempo, il sanguigno leader della fiamma tricolore a Roma soprannominato "Il piccolo grande uomo" (ma c' è chi lo chiama molto meno poeticamente "er Pecora" in riferimento, forse, alle origini abruzzesi) e Guglielmo Rositani, considerati gli organizzatori dello "show". Avvisi di garanzia anche a Giulio Maceratini, Adriana Poli Bortone, Maurizio Gasparri, Ugo Martinat, Altero Matteoli, Giulio Conti, Nicola Pasetto e Domenico Nania. Firmati da due sostituti del pool di magistrati che si occupa dell' estrema destra, Giovanni Salvi e Pietro Saviotti, i provvedimenti giudiziari citano l' articolo 289 del codice penale, ultimo comma: turbativa dell' attività parlamentare. Le autorizzazioni a procedere saranno inoltrate alla Camera nei prossimi giorni ma gli esponenti della fiamma tricolore hanno già fatto sapere che rinunceranno all' immunità parlamentare e sembrano intenzionatissimi a sfruttare la vicenda giudiziaria come strumento di propaganda. Alle 7 in punto, come vuole il codice, gli uomini del vicequestore Marcello Fulvi hanno bussato a casa degli indiziati. Tra le abitazioni perquisite dalla polizia, quelle del segretario provinciale del Fronte, Luca Panariello, del suo predecessore, attualmente consigliere regionale, Giovanni Alemanno, del responsabile dell' ufficio stampa Francesco Storace. Tra gli altri, nomi noti e meno noti dell' organizzazione giovanile del Msi. Nelle mani dei poliziotti sono finite alcune delle famose magliette con la scritta rossa (che tra gli attivisti di destra sono diventate immediatamente un oggetto di culto), opuscoli, agende, appunti. "Abbiamo trovato le prove di una manifestazione organizzata su tre livelli: i parlamentari, i dirigenti del Fronte e i ragazzi che hanno materialmente formato la catena umana" dicono in questura. A due dei giovani indagati sono stati anche trovati alcuni proiettili ma non sono scattati né arresti né denunce per detenzione abusiva di munizioni (probabilmente le pallottole erano di qualcuno che ha il porto d' armi). Una sola perquizione, in una villa fuori Roma, è saltata: la proprietaria non c' era e i poliziotti hanno evitato di buttar giù la porta. Subito dopo, tutti gli attivisti missini sono stati accompagnati al primo distretto di piazza del Collegio romano: foto segnaletica e impronte digitali. "Un comportamento assurdo, ingiustificato, sproporzionato e al limite, arbitrario degli agenti di polizia, una indebita prevaricazione e persecuzione" secondo un' interrogazione parlamentare presentata a tamburo battente dal segretario missino Gianfranco Fini. "Normale procedura: bisognava identificarli...Se non sta bene a qualcuno, ci denuncino per abuso di potere" è l' asciutta replica che esce da San Vitale. L' inchiesta, comunque, non è affatto conclusa: magistrati e funzionari della Digos si propongono di completare, nei prossimi giorni, l' appello di tutti i partecipanti alla manifestazione. Poi inizierà l' esame delle singole posizioni. "Adesso, probabilmente, non ci proveranno più" scommettono in questura. Una valutazione, forse, un po' troppo ottimista. - MASSIMO LUGLI

Fonte: la Repubblica, 5 Aprile 1993, pagina 7

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Insomma in definitiva, come cambiano i tempi, e come si evolve la politica italiana!
Ve lo vedete Alemanno oggi "sceriffo" di quella città in cui dava non poco da fare alla Digos?
Che fa i cori contro Bossi a Catania? La Poli Bortone che lanciava monetine? Storace capo dell'ufficio stampa dell'MSI?

Ottima cosa il nuovo archivio storico de la Repubblica!

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